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LO SHOPPING AI TEMPI DEL PUSTE'

Pensavo nei giorni scorsi com’è cambiato il nostro modo di vivere in 40-50 anni, nella fattispecie il "fare la spesa" cioè lo shopping.
susanna Da bambina abitavo in una zona, anche se non centralissima, con tutti i negozi che servivano nell’immediata vicinanza (anche doppi o tripli). All’angolo della strada c’era un negozio di alimentari di quelli già moderni chiamati cooperative, che aveva il banco del servito addossato alla parete in fondo con la zona panetteria e quella dei formaggi, salumi e carne; la cassa era all’ingresso e nel rimanente del locale  scaffali laterali e una gondola centrale dove si prelevava a self service quello che serviva, si metteva nel cestino di ferro e poi si pagava alla cassa.
Non esistevano carte di credito ma si usavano i contanti o più facilmente c’era un libretto, uno per il cliente e uno per il negoziante, dove la cassiera segnava la spesa fatta e poi il conto veniva saldato una volta al mese.
Alla fine anno veniva anche riconosciuta una percentuale sull’importo degli acquisti fatti, importo che veniva scalato dalle prossime spese o corrisposto in contanti.
Questa cooperativa era gestita da due sposini molto simpatici e lei mi dava anche utili consigli su come pettinarmi, vestirmi, che scarpe mettere, che saponette comprare ecc. ecc.
Mi mostrava i cataloghi premi della raccolta punti dei detersivi o dei formaggini  e io, invogliata dal possedere il gadget del momento, poi inziavo l'opera di convincimento con la mamma, cosa che non andava a buon fine perchè i formaggini io li ho sempre detestati e la mamma sapeva che poi non li avrei nemmeno assaggiati, figuriamoci mangiarne abbastanza da ottenere un premio! Morale: mai avuto la Susanna o la mucca Carolina.

Subito di fronte a questa cooperativa c’era “la mercantella” cioè la merceria- cartoleria che in 8 metri quadri aveva tutto quello di cui si poteva aver bisogno per la scuola, il cucito e l’abbigliamento, la profumeria e la bigiotteria e se per caso era sprovvista di quello che ci serviva, lo procurava in pochi giorni.
Questo negozio di cui ho già avuto modo di parlare essendo il mio fornitore di statuine del presepe, era gestito da una signora aiutata dal marito nei giorni di punta e negli orari serali, visto che lui aveva un altro lavoro. Era anche la mia fornitrice di fiducia di regali per la Festa della mamma e del papà.

macellaio Di fianco alla mercantella c’era il macellaio (il Dario qui di fianco c'entra solo perchè è simpatico come quello di cui parlo), gioviale omone con grembiule bianco insanguinato con sempre in mano grossi coltelli e appesi dietro di lui su lucidi ganci d’acciaio, tagli di carne. Durante la spesa spesso spariva in una grande cella frigorifera dove lo si sentiva picchiare per tagliare parti con ossa e quando rispuntava dal suo gabbiotto gelido, mostrava il pezzo di carne magnificandola e cercando l’approvazione della massaia.
Nel negozio esibiva orgoglioso attestati e coccarde di premi vinti dai suoi animali e su un ripiano faceva bella mostra anche qualche coppa.
Anche questa era un’impresa familiare con la moglie alla cassa e lui al banco e, quando è venuto a mancare il marito, il suo posto è stato preso dal figlio.
Di questo negozio mi ricordo che era tutto in marmo bianco leggermente striato di grigio: le pareti, il banco della cassa dove c’era la moglie e soprattutto il grandissimo ( per me che ero piccola) bancone dove lui affettava, sezionava, incartava la carne nella carta, prima in quella bianca oleata e poi in quella pesante color senape.
Sul fronte di questo catafalco enorme c’era una scultura di testa di bue in bronzo con le corna appuntite e lucidissime (fatto probabilmente dovuto allo sfregamento di tante manine come le mie) che mi metteva anche po’ paura.

ciabattino Il negozio successivo era il calzolaio gestito da marito e moglie, lui faceva il ciabattino e stava nel laboratorio a riparare le scarpe e lei curava le vendite  di scarpe, ciabatte e stivali. Rapporto di fiducia: si prendevano 4-5 paia di scarpe per mio papà (non pagandole) che non voleva andarsele a comprare e poi lo si faceva scegliere a casa e si riportava il resto in negozio pagando quello che si era trattenuto. E’ stato il negozio dove ho comprato le mie adorate polacchine con la tomaia di cavallino e dove mia mamma mi ha comprato le prime pantofole per casa in pelo, quelle che ti facevano i piedi come quelli di un orso.

Poi c’era il fruttivendolo che, oltre alla frutta e verdura rigorosamente di stagione e niente “esotismi”, aveva anche le uova fresche del contadino  che vendeva incartandole ad una ad una in fogli di giornale e, non so cosa c’entrasse con il suo articolo, ma vendeva anche il sapone.
fruttivendolo Un anno per le feste natalizie aveva esposto in vetrina un asinello nero di cartapesta con due gerle appese ai lati riempite di uva bianca, mi sono innamorata di questo “giocattolo” tanto che la mamma ha chiesto al fruttivendolo  se, passate le feste me lo poteva regalare e così è stato, nel frattempo ogni volta che andavamo a fare la spesa ammiravo il “mio” asinello in vetrina e quando finalmente è stato tolto dalla vetrina mi è stato donato. Mi pare di ricordare che, dopo un po’, anche questo asinello sia stato disintegrato da quella specie di tigre della Malesia che avevamo in casa.

Ad un angolo del caseggiato c’era un altro negozio di alimentari questo più tradizionale, il classico pustè, con il grande bancone messo a L gestito sempre da marito e moglie che poi (nella migliore tradizione, anni dopo) avrebbero passato l'attività ai figli.
Qui non si usava il sistema self service ma la merce  veniva scelta, incartata e consegnata dai proprietari; c'erano ancora parecchi prodotti che venivano venduti sfusi come il riso, la farina e lo zucchero che veniva incartato nella famosa "carta da zucchero" che non è un colore astratto ma era proprio il colore di questa carta usata solo per questo scopo, un tipo di blu aviazione carico. Lo zucchero veniva posizionato al centro di questo foglio di carta molto forte ( come quella del macellaio) che poi veniva arrotolata ai lati con movimenti sapienti e veloci delle dita (che io non sono mai stata capace di fare) fino a formare un cartoccio ben chiuso da cui non sarebbe scappato nemmeno un granello.
Come in tutti i negozi anche qui non si andava solo per fare compere, nel prezzo erano comprese tutte le ultime notizie del circondario ( il cosidetto Gazzettino Padano) e, con queste chiacchierate, si passava tutta la mattina a fare la spesa!

circolociclista

Di fronte altra attività: il circolo, praticamente il bar di una volta ma di questo non posso raccontare niente di particolare perché non lo frequentavo (e ci mancherebbe!) Mi pare servisse solo vino, e qualche aranciata o spuma nera (antenata della Coca Cola) forse c'era la macchina del caffè e in fondo aveva il tavolo del biliardo.

Negozio successivo un ciclista che in 8-10 metri quadri aveva stipato un’esagerazione di biciclette di varie misure, appese al muro catene, copertoni, camere d’aria, campanelli, pompe e tutto quello che serviva alla manutenzione del velocipede. In questo "immenso" spazio trovava anche il posto per lavorare alla riparazione dei mezzi.

Ora giriamo l’angolo e poco più avanti troviamo la signora Carla, la lattaia; anche qui un bugigattolo con un banco e di fronte un paio di tavolini da bar in alluminio ( quelli piccoli tondi da bistrot)  usati per esporre la poca merce. C'eran, oltre al latte, anche caramelle e cioccolatini e in estate 3 gusti di gelato: panna, cioccolato e fragola.
Io ci andavo con un bicchiere e lei, per 50 lire, me lo riempiva fino all'orlo, a volte facevo la furbetta e ne portavo uno più grosso che veniva riempito sempre per lo stesso prezzo.
Il latte veniva venduto nelle bottiglie di vetro a rendere, avevano un tappo di stagnola chiuso per modo di dire, era solo appena appoggiato incollato alla bell'e meglio per cui la bottiglia doveva essere trasportata diritta e non si poteva coricare.
latteria A un certo punto sono comparsi anche i primi yogurt , solo marca Yomo, anche questi in vasetti di vetro con stagnola blu o rossa a seconda del tipo (magro o grasso) La mamma mi mandava a prendere il latte ( per questo la canzone di Gianni Morandi ebbe tanto successo: ci andavamo tutti) con una sporta di paglia e due asciugamani in cui dovevo arrotolare le bottiglie per non farle picchiare tra loro e mantenerle in piedi.
Ma la sporta era grande per due sole bottiglie e una volta ho sentito, poco dopo essere uscita dal lattaio, che una bottiglia ( o tutte e due chissà) era caduta contro l’altra e qualcosa di brutto era accaduto.
Non avevo paura di quello che mi avrebbe detto la mamma a casa perché non ci sarebbero state scenate, si era rotta pazienza; il mio pensiero era arrivare al più presto a casa senza che nessuno mi  dicesse qualcosa per strada, visto che dalla borsa gocciolava il latte e stavo facendo la strada come Pollicino.  
Nemmeno pensare di fermarmi per guardare cosa fosse successo, correre a casa il più presto possibile per non fare figure con qualcuno.
Sono arrivata fin sotto il portone indenne, ero salva, nessuno mi aveva visto! Errore: stava uscendo un operaio, “Hei, guarda che lì si è rotto qualcosa!”
Mannaggia a te, avrei voluto sprofondare, ce l’avevo quasi fatta! Rossa come un peperone ho dovuto finalmente alzare quel coperchio della borsa e vedere, su una fodera di nylon rosso, un mare bianco in cui navigavano pezzi di vetro trasparente. Il volonteroso mi ha preso la borsa e rovesciato tutto questo sfacelo in un tombino, non mi ricordo nemmeno se le bottiglie rotte erano tutte e due o cosa, ero troppo imbarazzata per riuscire a connettere.
Ho preso la mia borsa e sono corsa per le scale fino in casa.

Altro esercizio a 100 metri da casa era il tabaccaio/bar dove il papà mi mandava a prendere le sigarette con soldi in abbondanza per comprare anche caramelle, sughi e i primi haribo che si vendevano sciolti. Io naturalmente spendevo tutto il resto delle sigarette e tornavo col mio scartozzo di pappatoria dolce. Nella fattispecie ci piacevano ( si, a tutti e due, mica solo a me) i Topo Gigio che erano i marsh mallows di adesso ma più elastici e ci mettevamo davanti alla TV con queste tiracche: in bocca un orecchio, tirare e staccare, poi l’altro, poi si passava alla testa e al corpo finchè rimanevano solo i piedi che sparivano nelle fauci in un boccone solo.
gommose
Questi sono i negozi nell’immediata vicinanza di casa ma spostandosi di circa 200 metri  nella seconda parallela,  oltre alla replica di quelli già descritti,  si trovava anche il droghiere, bottega dell’olio e del vino, tintoria, pescivendolo, materiale elettrico, ancora bar e altri che non ricordo perché ci andavamo di rado.
Non mancava l'edicola dove ci rifornivamo di Oggi, Sorrisi e Canzoni, Mani di fata, Confidenze, Grand Hotel e fumetti vari, primo fra tutti Topolino ma anche Il Monello, L'intrepido, Mandrake, L'uomo mascherato, Nembo Kid (Superman si chiamava così) magari comprandoli doppi perchè era già passato qualcun altro della famiglia, ma non c'era problema, si riportavano e si cambiavano con altre riviste.

Insomma le compere venivano tutte effettuate nel giro di 2 svolte di angoli, poi al martedì e al sabato c’era il mercato in centro ed era una pacchia andare con la nonna e girare per le bancarelle.
Anche qui c’era un obbligo a cui sottostare sempre: volevo il giocattolino.
mercato Una volta vendevano dei blister ( non so se ci sono ancora) a tema, c’erano i pentolini per le bambole, oppure le repliche in plastica di frutta, verdura, pasta, insomma tutta la spesa. Oppure il blister con gli attrezzi del dottore con cui curare le bambole e scematine varie del genere. Erano cose che costavano poco per cui venivo accontentata.
Preferivo andare al mercato con la mamma, anche se era la nonna che ci andava più spesso, perché mia nonna mi faceva vergognare da come tirava sui prezzi: un cosa esagerata!
Uno diceva 100? E lei sparava 30, insomma era proprio una cosa veramente imbarazzante, io anche se avevo 6 anni ero lì vicina che non sapevo più dove guardare e dopo un po’ cominciavo a darle dei colpi ma lei si divertiva e in questo modo uno sconto glielo facevano sempre ( solo per sfinimento)

La nonna abitava in altra zona e si serviva in altri negozi, spicca fra tutti la cooperativa dove vendevano il “Bigibò” una specie di tiracca mou confezionata a caramella in una carta rossa con scritta gialla (mi è rimasta proprio impressa) che doveva assolutamente comprarmi; come doveva comprare il detersivo Tide, anche se ne aveva ancora 3 scatole piene, perché dentro c’erano le sorprese e appena arrivava a casa io rovesciato il detersivo su un giornale per cercare la sorpresa che, il più delle volte, era un soldatino o altro oggetto da maschio. Potevo contare solo sulla nonna per il Tide perché la mamma usava l’OMO e non si schiodava nemmeno a supplicarla.

omo  detersivo tide

C’erano poi gli acquisti meno frequenti e di articoli più fini e questi venivano fatti nei bei negozi del centro: bella biancheria, stoffe, scarpe, oreficeria, elettrodomestici. Anche se non si andava molto spesso, si conoscevano i negozianti che erano lì da sempre e prima di loro i loro padri e dopo i loro figli ed era un rapporto sempre molto cordiale, consegnavano a casa gli oggetti ingombranti o gli elettrodomestici  senza nessuna maggiorazione di prezzo ed era compresa anche l’installazione.

Provate adesso: a quanti chilometri devo consegnare? A che piano? C’è ascensore? Io non faccio scale e scarico al piano poi si arrangi lei. Se vuole il montaggio deve pagarlo extra e via discorrendo…
Ora dei centri commerciali non vi dico altro perché lo sapete tutti com’è, e quando troviamo un commesso che non ci guarda in cagnesco, ci risponde senza essere sgarbato e sa di cosa stiamo parlando ( perché anche se siamo nel suo reparto è mica scontato che lui sappia cosa vende), ci viene voglia di inchinarci a lui come fanno i Re Magi davanti al Bambinello.

Di questi negozi non se n'è salvato nemmeno uno: in molti ci sono altri esercizi di tutt'altro genere (anche rivendite per stranieri con insegne in arabo), altri sono stati trasformati in abitazioni, lo stabile della cooperativa dove si serviva mia nonna è stato abbattuto proprio pochi mesi fa e parecchi di quei negozi presentano le serracinesche arrugginite e desolatamente abbassate da tempo.
Si è salvata solo l'edicola che è sempre allo stesso angolo, ma non è più il gabbiotto di ferro dipinto di verde: è stato sostituito da uno moderno in alluminio e vetro.
Il tempo cambia le cose, altre le fa sparire per sempre e anche il mio mondo di bambina è sparito insieme a quei negozi.

p.s.: il pustè nel nostro dialetto corrisponde al pizzicagnolo, ovvero un negoziante che vendeva salumi, formaggi e alimentari.
p.p.s. : il palcoscenico di questo raccontino è a Legnano, con confini tra Via Roma, P.Micca e XXIX Maggio con relative traverse, Calatafimi, Mazzini e Cavour, ma dai commenti che ho ricevuto post pubblicazione mi sono resa conto che le stesse scene ( in quel periodo) venivano replicate un po' ovunque e non solo in provincia.
Persino amici di Milano si sono ritrovati nelle descrizioni che ho fatto.

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